Abbiamo paura della vita, ecco perché cerchiamo di dominarla e controllarla.
Alexander Lowen
Il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio e probabilmente a molti lettori genererà non poca irritazione. Immagino i commenti: “Amare la mia paura? Ma ci provi lei ad amare la sua paura quando quella paura diventa panico e terrore, quando diventa paralisi invalidante, quando impedisce di andare verso…o di andare via se necessario, quando diventa incubi e insonnia, quando non permette di amare oppure fa amare troppo tutti, eccetto se stessi per il timore di restare soli; quando diventa parole e movimenti impacciati per il terrore del giudizio, quando diventa crollo emotivo,asma o dolori cronici nel corpo, conflitto nelle relazioni e molto molto altro ancora.”
Capisco queste perplessità.
Tendiamo a vedere la paura come qualcosa di negativo da evitare, rifiutare o superare subito a tutti i costi. E allora mettiamo in atto mille strategie inconsce per non darci il permesso di sentirla fino in fondo e occuparcene. Possiamo fingere che non esista, giudicarla, arrabbiarci con lei perché non la vorremmo lì, sminuirla dicendoci che è stupida e che noi siamo davvero stupidi a provarla, anestetizzarci emotivamente quando si manifesta, pretendere che qualcuno ci salvi e se ne occupi al posto nostro, fare le vittime incolpando gli altri per le nostre paure, tuffarci in dipendenze di ogni tipo (affettive, droga, alcool, cibo, lavoro) o possiamo immergerci nel fare fare fare pur di non sentire.Il vero problema non è la paura in se’ ma cosa noi ce ne facciamo. Si aprono due strade: comportarci come ho appena descritto. In tal caso generiamo una profonda frattura tra noi e quel bambino interiore spaventato che abita al nostro interno, che, sentendosi ancora una volta non accolto, visto ed accettato non si aprirà ad una possibile guarigione e riparazione delle sue antiche ferite, radice del terrore e della vergogna che ci inondano e sopraffanno da adulti.
Oppure scegliere finalmente la via dell’Amore.
Amare la nostra paura.
Amare la nostra paura significa amare noi!!! Non è un’estranea, non è un personaggio scomodo da cacciare via in malo modo. Diventiamo estranei a noi stessi quando facciamo questo. Neghiamo una parte di noi e riperpetuiamo a quel bambino che ci portiamo dentro un antico dolore. L’indifferenza. La non accettazione. La critica. La svalutazione. Il minimizzare. Il trattare con sufficienza. L’abbandonare.
Fareste questo ad un bambino? Sono certa che molti di voi non lo farebbero. E allora perché trattiamo così noi stessi e quel bambino presente dentro di noi? Perché ci estromettiamo da noi stessi? Perché questo è ciò che abbiamo imparato. Proteggerci da vissuti che sentivamo insostenibili. Prendere le distanze da alcune nostre emozioni dirompenti per sopravvivere.
Ma adesso è arrivato il momento di non trattarci più in questo modo. È arrivato il momento di “prenderci in mano o forse per mano… per davvero”, di prenderci cura di noi e di osservare lo spavento e la vergogna che abbiamo dentro con uno sguardo di amore. Uno sguardo gentile. Uno sguardo accogliente. Uno sguardo che non pretende di cambiare nulla. Uno sguardo che osserva e accoglie e lascia emergere con amorevolezza e indulgenza. Quella che forse ci è mancata.
Come fare?
Iniziamo a riconoscere come la paura si manifesta nel corpo. Proviamo a diventare consapevoli delle piccole sensazioni corporee e delle alterazioni del respiro che si manifestano. Per qualcuno sarà necessario un po’ di allenamento ma tutti possiamo con dedizione e costanza allenare il muscolo della consapevolezza. Quando ci accorgiamo di questa sensazione e sentiamo la paura che arriva osserviamola, non cacciamola via, non pretendiamo di modificarla, non aspettiamoci nulla, non giudichiamola, non interpretiamola. Proviamo solo a guardarla mentre affiora dentro di noi. Proviamo poi ad appoggiare il palmo della nostra mano sulla parte del corpo dove ci sembra che la paura si collochi, portiamo lí, il nostro respiro e la nostra attenzione consapevole. Proprio lí, in quella parte del corpo in allerta e spaventata. Proviamo poi ad immaginare di accarezzare la nostra paura attraverso quel contatto, di dialogare con lei portandole le stesse parole amorevoli, comprensive e confortanti che useremmo per rassicurare un bimbo impaurito.
Se riusciremo pian piano a far questo (non è immediato, è necessaria pazienza e allenamento e spesso un percorso con una guida attenta e sensibile che ci supporti in questo cammino) quella paura rivelerà la sua radice antica, congelata nelle casseforti delle nostre contrazioni corporee e man mano si dissolverà.
Dobbiamo partire dal corpo. Perché nelle contrazioni del corpo e del respiro è intrappolata la mappa di tutte le emozioni che abbiamo dovuto rimuovere e che sono la causa di una vita dominata dalla paura e in cui è assente la gioia e il piacere di vivere.
Ma in fondo al nostro cuore il bambino gioioso, vitale e pieno di Amore che eravamo non aspetta altro che il nostro sguardo di amorevole accoglienza per tornare pian piano ad essere VIVO.
Quando i miei pazienti contattano emozioni o sensazioni corporee spiacevoli ma ancora indecifrabili suggerisco loro di provare a portare il respiro nella parte del corpo in cui stanno sentendo quella emozione o sensazione e di dire a quella parte di loro: “Io ti vedo, io ti accolgo e tu hai il diritto di essere qui”. Chiedo di ripeterlo più volte ma già alla prima o seconda ripetizione emozioni bloccate iniziano a sciogliersi attraverso il pianto o suoni di rabbia, sensazioni corporee di tensione o dolore fisico rivelano l’emozione intrappolata nella contrazione del corpo. Accogliere apre e lascia uscire…e lascia andare. Inizia un processo di liberazione. A volte lungo, faticoso, doloroso. Ma ritrovarci e riscoprirci nella nostra gioia e vitalità originaria forse non ha prezzo che non valga la pena di essere pagato.
Qualche giorno fa ero al parco con mio figlio. Voleva fare un salto da un muretto più alto del solito posizionato in cima ad uno scivolo e mi dice: “Mamma io vorrei, ma sento una sensazione strana nella pancia che non mi fa saltare. Mi sa che ho paura! Ora provo a mandarla via così riesco a saltare. E io gli dico: “Ti insegno un gioco. Prova a non mandarla via. Immagina di accarezzarla e respiraci dentro”. Mi ascolta. Ridendo e scimmiottando un po’ fa dei respironi profondi e poi mi dice: “Saltoooo”. Tutto contento per il suo coraggio. Non do particolare peso alla cosa.
Circa una settimana dopo lo portiamo dal dentista. Lo vedo teso, sdraiato su quella poltrona lilla; circondato da tutti quegli attrezzi mi fa tenerezza. Regge bene la visita. Dopo gli dico: “Ho visto che eri un po’ teso ma sei stato proprio coraggioso durante la visita.” E lui mi risponde: “Mamma avevo paura. Ma ti ricordi quella volta sullo scivolo? Mi sono ricordato di quella volta. Ho respirato nella paura e questo mi ha dato coraggio. Però il dentista è rimasto antipatico.”
Ecco, questa cosa mi ha proprio commossa tanto oltre a farmi ridere il finale. Mi commuove ancora adesso mentre lo scrivo.
Auguro a tutti di poter provare a diventare amici della vostra paura, di guardarla con amore e di prendervene cura per lasciare che pian piano si trasformi.