Come prima esperienza sulla Terra, la prima sfida che ci attende è uscire dal grembo di nostra madre.
È in quel momento che proviamo paura per la prima volta: il viaggio verso l’ignoto ci spaventa.
Ma non siamo soli: quando veniamo alla luce, c’è qualcuno che ci attende, e quel qualcuno è nostra madre.
Se però veniamo privati di quel primo contatto con nostra madre, se ci siamo sentiti soli e indifesi già dal primo respiro nel mondo, è possibile per noi sentirci adeguati oggi?
Si apre così la seconda stagione della serie Netflix “Another Self”, che ha portato al grande pubblico, seppur in forma romanzata, temi legati alla psicogenalogia e alle costellazioni familiari.
L’esordio di questa serie mi ha particolarmente colpita, rievocando le tante immagini, spesso commoventi e toccanti, di sedute con i miei pazienti, legate all’esplorazione di traumi e vissuti dolorosi, spaventosi e traumatici, avvenuti proprio nel grembo materno o nei primissimi momenti dopo la nascita.
Svolgo il lavoro di terapeuta da tanti anni ormai, ma ho la netta sensazione che ci troviamo in una fase evolutiva in cui il “campo unificato di coscienza” per dirlo alla Bohm ( fisico quantistico), stia “richiamando” mai come ora, una guarigione profonda delle radici e delle origini stesse della nostra vita.
Mi piace pensare che l’evoluzione ci stia sospingendo verso un reale e sincero risveglio del cuore, possibile solo se lo liberiamo dalle maglie traumatiche che hanno soffocato il suono delle sue note più armoniche e naturali.
Memorie legate alla fase intrauterina o perinatale sono molto più frequenti nella mia esperienza clinica, rispetto ad anni fa, così come più potenti e a volte definitivi sono gli sblocchi che ne conseguono rispetto a situazioni di vita limitanti o paralizzanti che erano cristallizzate da tempo.
Comprendo che agli occhi del lettore potrebbe sembrare strana la facilità con la quale siamo in grado di ricontattare, dai nostri scrigni psico-corporei, memorie preconsce precocissime, risalenti all’epoca prenatale e perinatale, ma in realtà il magazzino mnemonico delle nostre emozioni e delle relative sensazioni energetiche e corporee, è presente nelle cellule del nostro corpo e può essere rievocato in modo piuttosto immediato e preciso per poter essere lavorato e trasformato.
Possiamo così rilasciare i contenuti psichici ed emotivi rimasti congelati e rimossi, sciogliendone le relative contrazioni corporee, funzionali alla difesa del nostro equilibrio, alla protezione da un sovraccarico emozionale insopportabile e funzionali alla sopravvivenza stessa (che è ciò che il cervello biologico è programmato a fare) di fronte ad una realtà che abbiamo percepito intollerabile, ingestibile e troppo grande per noi in quel momento.
Il corpo rivela la nostra storia, da cui nasce il nostro modo di stare al mondo.
Ogni problema psicologico, sintomo, somatizzazione, credenza limitante, comportamento disfunzionale e malessere emotivo, energetico o mentale ha un corrispettivo in un blocco presente nel nostro corpo e conseguentemente nella nostra respirazione.
Portiamo delle tracce, nella memoria delle nostre cellule, di tutto ciò che ci è accaduto e spesso viviamo difficoltà profonde in vari ambiti della nostra esistenza, senza immaginare quanto possano risalire anche ad epoche antichissime, fino al principio stesso del nostro arrivo, quando, nei panni di piccoli esserini delicati, siamo giunti in quel “contenitore” psichico, emotivo, corporeo ed energetico che è stato il grembo di nostra madre.
La neuroscienziata Candace Pert, in “Molecole di emozioni” ci ricorda che ogni parte del corpo è un contenitore di memorie che possono tornare alla luce della consapevolezza nel momento in cui sciogliamo i nostri blocchi psico-neuro-muscolari, permettendoci di andare oltre schemi ripetitivi e condizionanti e trovare così soluzioni nuove, luminose e creative a vecchi problemi, automatismi e copioni di vita dolorosi e ripetitivi.
Il lavoro psico-corporeo consente, come ho ampiamente espresso nel mio libro “La potenza del corpo. Risveglia l’ opera d’arte che è in te e fai del mondo un capolavoro“, di riportare a galla memorie emozionali e corporee molto antiche, relative anche a fasi pre verbali dello sviluppo , che sono spesso alla base di una profonda paura di vivere e di credenze limitanti su se stessi, sugli altri o sul mondo esterno.
Dunque nell’approccio terapeutico integrato che utilizzo, il lavoro corporeo diventa una chiave di accesso per rievocare tali memorie e lavorarle tramite il riattraversamento e il rilascio profondo delle emozioni che erano rimaste “freezate” nel profondo.
Un prezioso e significativo ausilio integrativo, nel trattamento di queste tematiche, arriva dall’applicazione del metodo Fast Reset, ideato dal medico e psicoterapeuta Maria Grazia Parisi, (con la quale mi sono formata alcuni anni fa), che consente il rilascio delle emozioni condizionanti e dei vissuti traumatici tramite diverse fasi che comprendono: un primo momento di riattivazione emotiva e corporea, la composizione di una frase che esprime, descrive e motiva la risposta emotiva e la sua spinta biologica ed una terza fase che consiste in uno shift di attenzione e focalizzazione su alcune specifiche parti del corpo che hanno una predominanza nei nostri circuiti neuronali.
Questo produce rapidi cambiamenti a livello neurofisiologico e biochimico andando dunque a modificare la percezione e la portata emotiva che l’evento traumatico o condizionante generava prima del trattamento.
Lo sblocco, lo scongelamento e la “purificazione” delle emozioni rimaste senza pianto, dei gesti rimasti senza azione, delle parole che non abbiamo potuto dire, permette di integrare il vissuto e di trascenderlo.
In tal modo non saremo più guidati dal pilota automatico della mente condizionata ma dalla saggezza, dalla lucida visione e dall’equilibrio emozionale che sorgono da una ripristinata armonia psico-neuro-muscolare e da una mente decondizionata dagli accadimenti del passato.
A volte non teniamo sufficientetemente conto di quanto i nostri primi imprinting esperienziali segnino la nostra visione della realtà e il senso profondo di noi stessi intrappolandoci in schemi disfunzionali e condizionanti.
“Non sono amabile”, “Sono difettoso”, “Devo essere perfetto”, “Devo fare tutto da solo”, “Non vado bene”, “Sarò stimato solo se svolgo una funzione per qualcuno”, “Non valgo”, “Nessuno mi vuole”, “Il mondo è pericoloso”, “Non merito niente”, “Gli altri sono meglio di me”, ” Tutti vogliono schiacciarmi” e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.
Sono svariati gli eventi che possano aver impresso una traccia traumatica nel piccolo feto o nel neonato, influenzando la sua futura vita.
Penso al caso di Luca ( tutti i nomi sono naturalmente di fantasia), nato prematuramente con parto cesareo, e al suo attraversamento della disperazione legata all’essere stato privato precocemente della connessione con il corpo di sua madre e a quella costante sensazione di abbandono, solitudine, vuoto interiore e scontentezza ( Questo caso è citato anche nel mio libro).
Milena, che ha sentito di non essere desiderata dai suoi genitori, e che ha così sviluppato un’insicurezza profonda che la portava ad essere aggressiva e dominante sul lavoro e remissiva, sottomessa e dipendente nella relazione con gli uomini, abitata da una costante sensazione di inadeguatezza e con una serie di relazioni andate male. Il copione che come un disco rotto continuava ad atrarre inconsapevolmente era “Nessun uomo vuole rimanere con me e mi ama realmente”.
O ancora Silvia, che ha percepito nel grembo di sua madre tutta la sua infelicità ( sua madre ha sofferto di depressione pressoché per tutta la vita) e ha sentito che la sua funzione era di occuparsene e colmare il suo vuoto esistenziale.
La costante di sottofondo è spesso la paura della vita stessa, la percezione del mondo come ostile, degli altri come non affidabili, rifiutanti o abbandonici e la sensazione sottile ma costante di non avere davvero il diritto di esistere e di avere una terra instabile sotto i piedi.
Possiamo sentirci sicuri se quel primo contatto con la vita, nel grembo materno o appena nati, è turbato da eventi imprevedibili?
In questo articolo mi soffermerò in particolare sul caso di Vivian.
Vivian arriva un giorno in seduta con un profondo senso di tristezza, sfiducia e sconforto.
Quando le chiedo da dove provengano queste sensazioni, mi dice che sente che “Tutto è perduto e che ormai è troppo tardi per rimettere insieme i pezzi”.
I pezzi di cosa?
Lo avremmo scoperto insieme da lì a breve.
Attraverso un lavoro corporeo mirato, emerge abbastanza velocemente l’immagine di un corpo dilaniato e fatto in mille pezzi.
Le chiedo di esplorare quanti anni ha e cosa sente che sta accadendo.
“Sono nel grembo di mia madre e quel corpo disgregato è il mio!”
Rievoca subito dopo la sensazione di essere in pericolo di vita, di essere in un posto buio e freddo. Giungono nausea, bruciore in tutto il corpo, senso di soffocamento nella gola e bisogno di vomitare. La percezione è molto chiara per lei: “Sento che è arrivata all’improvviso una “sostanza” pericolosa e che sono in pericolo di vita, non ce la faccio, non vedo l’ora che mi tirino fuori di qui”, dice testualmente Vivian mentre è immersa nella memoria del momento pre nascita.
Una delle caratteristiche di un evento traumatico è la percezione di sgomento, sconcerto e paralisi per qualcosa di imprevisto, improvviso e imprevedibile che crea uno choc nel sistema, congelando la naturale reazione neurofisiologica ed emozionale che permetterebbe di scaricare la tensione interna.
Quando viviamo una situazione di pericolo, dolore, angoscia e minaccia, attiviamo per proteggerci i nostri sistemi di difesa per poter sfuggire all’emergenza o reagire all’attacco.
Il sistema della paura agisce attraverso l’asse dello stress sollecitando la produzione di adrenalina, noradrenalina e cortisolo.
Il nostro organismo secerne queste sostanze per sostenere lo sforzo necessario per superare la difficoltà traumatica. Se l’attivazione dell’asse dello stress si cronicizza a seguito di uno o più traumi non elaborati, a maggior ragione nelle fasi precocissime del periodo pre e perinatale, ne consegue una cristallizzazione di uno stato di allarme sotterraneo, disturbi della regolazione emotiva e neuronale, disordine a livello endocrino e ormonale e disfunzioni nella padronanza emozionale.
Questo stato di disconnessione e scissione è ciò che determina un blocco psicosomatico, con tutte le annesse conseguenze nella nostra vita.
Tornando alla nostra Vivian, lei sapeva già di essere venuta al mondo con un parto cesareo d’urgenza ma non ne conosceva le cause esatte.
Sua madre non aveva mai voluto parlarne.
Da tanti anni Vivian, nonostante fosse una giovane donna sotto i 40 anni, soffriva di debolezza cronica, svariate allergie, extrasistole e problemi con l’alimentazione (qualsiasi alimento pareva essere un veleno indigesto), unitamente alla percezione di vivere costantemente e da sempre in modalità sopravvivenza, di essere incapace di prendersi cura di se stessa e dei suoi bisogni e in un continuo stato di sforzo e affaticamento.
Si sentiva bloccata nella sua sessualità e in generale nel contatto fisico con gli altri, incluso quello con suo marito e le sue figlie.
La sua percezione sotterranea era di essere sempre in bilico sul filo di un minaccioso senso di precarietà, instabilità e disgregazione che scorreva nel sottofondo della sua vita.
La seduta successiva a quella relativa ai suoi vissuti nel grembo, vede come protagoniste (in una sorta di fluida storia che si disvela in ordine cronologico partendo dalla ferita primaria più antica), le memorie di Vivian sui primi momenti della sua nascita.
Dopo il lavoro psico corporeo, che propongo sempre seguendo il filo rosso delle sensazioni che nel paziente stesso richiamano la sua attenzione in quel momento, arriva l’immagine di una neonata sottoposta ad una tortura fisica ed emotiva.
Risale, dai meandri del suo inconscio, una forte sensazione di voler gridare “Basta!” ma di rimanere sola e inascoltata.
Sente vergogna, prevaricazione, senso di abbandono, intrusione e violenza.
“Non ho nessuno di amico vicino e non ce la faccio piu’! Non vedo l’ora che finiscano. Sento disperazione e rabbia…
Ora hanno finito…ma io mi sento sfinita, come senza più vita, forse senza motivazione per vivere”.
Chi doveva finire di fare cosa?
Lo scoprimmo poco tempo dopo, ma nel frattempo, al di là del “sapere”, la risoluzione del trauma prenatale e perinatale, con i relativi cambiamenti avvenuti nella vita di Vivian, era già accaduto.
Fu comunque una bella sincronicità e una conferma importante per lei, scoprire, un mesetto dopo il nostro lavoro, grazie al ritrovamento nella casa di famiglia di una cartella clinica relativa a quell’epoca, che poco prima della sua nascita i medici avevano somministrato a sua madre per sbaglio, un farmaco che l’aveva messa realmente e seriamente in pericolo di vita. Da qui la decisione di un cesareo d’urgenza e da qui le sensazioni di soffocamento, avvelenamento e pericolo di vita che Vivian aveva rievocato.
Dalla cartella si evinceva anche, che subito dopo la nascita, Vivian aveva contratto un batterio vaginale e aveva avuto una complicanza a livello genitale.
Abbiamo ipotizzato che presumibilmente aveva comportato pratiche mediche intrusive.
Ed ecco perché “Basta! Quando finiscono? Non ce la faccio più!”. E quell’intensa sensazione di essere torturata a livello fisico ed emotivo, di subire una violenta prevaricazione e di sentirsi infine priva di vita, sfinita e letteralmente in pezzi.
Due traumi così significativi, per il delicato sistema del feto e del neonato possono condizionare un’intera esistenza? Possono infilarsi nelle maglie della vita rendendoci insicuri, traballanti e contratti nel corpo, nella mente e nello spirito?
A quanto pare si.
Ma è possibile anche, fortunatamente per noi, riaccedere a quei primi momenti, per guarire quelle ferite primordiali e rilasciarne gli strascichi profondi.
Riportare alla luce tali memorie con i relativi contenuti psico-corporei e ridargli diritto di esistenza in un contesto protetto e con la necessaria energia per renderli tollerabili, consente una liberazione profonda sul piano psico-neuro-muscolare, favorendo il dissolversi dei temi psicologici legati al blocco stesso.
La persona non sarà più agita da un passato rimasto sepolto e da una mente condizionata da eventi del “là ed allora” e potrà così iniziare a riscrivere una nuova storia.
È un po’ come nascere per la seconda volta.
Cio’ che osservo è che quando la persona può accogliere nuove frequenze energetiche e vibrazionali dentro di sé, attraverso un vero e proprio salto di coscienza, prodotto dallo scioglimento di blocchi antichi e dalla relativa dissoluzione delle reazioni traumatiche correlate, vive un’altra vita nella stessa vita perché il suo modo di funzionare nel mondo e la relazione con sé stesso cambiano a volte integralmente e definitivamente.
È un po’ come rimuovere grosse rocce che ostruiscono il libero fluire del proprio oceano interiore, lasciar evaporare quegli strati protettivi che allontanano dall’armonia del diamante cristallino che è il nostro Sé naturale e dischiudere nuove possibilità di pensare, di sentire e di agire.
Riallinearci alla saggezza e all’intelligenza del corpo e dell’energia superiore che lo abita, strettamente connessa a quella del campo armonico di energia quantica in cui viviamo costantemente immersi, ci offre un sentiero reale e sincero di profonda trasformazione.
“Se però veniamo privati di quel primo contatto con nostra madre, se ci siamo sentiti soli e indifesi già dal primo respiro nel mondo, è possibile per noi sentirci adeguati oggi?” chiede la voce narrante in “Another Self”.
La risposta è si!
Quando ci lavoriamo permettiamo alla grande Madre che è la Vita stessa, che scorre in noi attraverso un’ energia “superiore”, di tornare a fluire e accoglierci amorevolmente nel suo grembo energetico direttamente connesso alla scintilla luminosa del nostro cuore.
Così come nel mondo materico un feto è collegato alla sua mamma dal cordone ombelicale, così, in quello eterico, la nostra essenza, Sé superiore o Sé naturale, che dir si voglia, è connesso con un’analoga “corda dorata” ad un più vasto campo energetico che tutto permea così come la fisica quantistica e l’esperienza mistica testimoniano.
Come ho scritto nel mio primo libro, corpo, mente e cuore danzano in un processo di continuo e reciproco influenzamento tra loro, coordinati da un’intelligenza cellulare saggia e vasta, a sua volta collegata ad un più ampio campo di energia cosmica.
Per accedervi dobbiamo liberare il cuore dalla prigionia del nostro passato.
Ripristinare l’integrità della nostra personalità, frammentata da blocchi ferite e tornare ad uno stato interno di armonica coerenza energetica, emozionale e mentale, ci permette di bonificare il nostro terreno interiore e ci rende finalmente aperti a ricevere ed accedere ad una frequenza energetica “più alta” in cui vigono le leggi della pace, della calma, della saggezza, dell’intuizione e in cui suonano le note musicali della Grazia e dell’Amore.