Una bambola senz’anima alla ricerca dell’amore verso di sé.
‘Mi sento in gabbia. Non riesco ad esprimermi in modo spontaneo con gli altri. Questo mi fa sentire compressa, mi fa agire in modo automatico e non sento niente! Non sento piacere, non provo emozioni. Un bambola senz’anima che fa quello che gli altri si aspettano o cio che è ‘giusto’ fare.’
Esordisce così Laura, con sguardo rassegnato e avvilito.
‘Laura deve essere frustrante e sconfortante questo modo di stare al mondo. Ti sento come chiusa in un labirinto. Cerchi l’uscita ma poi ritorni sempre al punto di partenza. E proprio come un animale in gabbia che cerca la fuga, il tuo sistema d’allarme interno è così attivo ad un livello profondo, che non ti permette di sentire ciò che provi e muoverti in modo libero, autentico e spontaneo’.
‘Già, proprio così’, annuisce Laura affranta.
E poi aggiunge irritata e alzando un po’ il tono della voce : ‘Il fatto è che….e che….io so che agli altri non gliene frega niente di chi sono veramente, anzi, non gli piacerebbe nemmeno chi sono. E allora io mi adatto! Cosa vuoi che faccia! Mi adatto!’, continua innervosita.
Ed ecco una descrizione fedele di come si forma la nostra armatura caratteriale. L’armatura carattero- muscolare ( termine coniato da Whilelm Reich) è il sistema difensivo psico-corporeo, che abbiamo inconsciamente creato per adattarci a ciò che ci veniva richiesto in modo implicito o esplicito quando eravamo bambini e per proteggerci da emozioni dolorose legate ad una disconferma, ad un rifiuto, ad una non accettazione da parte dell’ambiente circostante, di chi noi eravamo realmente e dei nostri impulsi vitali. Se la mia natura, la mia spontaneità, non è ben accolta dalla mia mamma e dal mio papà perché non risponde alle loro aspettative, perché contiene un’energia che li spaventa, perché non devo dare troppo fastidio, perché non corrisponde al loro ideale è così via, si attiverà un processo di:
- Contrazione. Contrarrò cronicamente zone del mio corpo per trattenere prima e poi rimuovere nel regno dell’inconscio emozioni di rabbia, dolore, paura legate al rifiuto della mia più autentica natura e a questa disapprovazione (non posso permettermi di sentirle perché sono piccolo e non le reggerei.’ Non posso provare emozioni del genere verso qualcuno da cui dipendo in modo totale).
- Adattamento. Mi adatterò sopprimendo me e diventando ciò che i miei genitori desiderano o si aspettano, per ottenere la loro approvazione, il loro amore e la loro vicinanza.
- Distorsione dell’immagine di Se’, degli altri e del mondo circostante. Darò vita ad un’immagine di me come di qualcuno che non può essere davvero accolto e accettato per ciò che è, un’aspettativa di disinteresse da parte degli altri ( sarò accettato solo se sono come tu mi vuoi), una bassa autostima o al contrario un’immagine gonfia e idealizzata per non sentire la vergogna e la vulnerabilità della non accettazione. Un senso di onnipotenza nell’ultimo caso o di profonda impotenza nel primo, come nel caso di Lucia.
- Una profezia che si autoavvera. La mia credenza su di me e sugli altri mi porterà a comportarmi in modo tale da indurre gli altri a trattarmi come io mi aspetto e a confermare la mia idea disfunzionale e distorta proveniente dalle ferite della mia storia infantile, chiudendomi in un labirinto senza uscita in cui alcuni circoli viziosi e loop emotivi, cognitivi e comportamentali si ripetono all’infinito.
Proprio come nel caso di Lucia.
‘Lucia, ti propongo di esplorare ciò che sta accadendo più in profondità. Prova ad assumere la posizione del grounding e a fare un leggero su e giù sulle gambe ( è un lavoro di carica energetica che facilita lo scioglimento della tensione attraverso la produzione di movimenti vibratori nelle gambe, il radicamento con le proprie sensazioni e l’apertura di canali emotivo/corporei chiusi alla consapevolezza). Mentre fai questo lavoro mantieni viva un’attenzione consapevole a tutto ciò che accade al tuo interno’, le dico.
Lucia dopo pochissimo scoppia in un pianto intenso.
‘Cosa provi Lucia’?
‘Io voglio essere me stessaaaa! Ho bisogno di essere meee!’, urla disperata.
‘Cosa potrebbe accadere se tu te lo concedessi?’
Il pianto diventa struggente.
‘Andrebbero via tutti, dice tra le lacrime, rimarrei da solaaa…e non andrei più bene a nessuno’.
‘In quale relazione hai imparato che essere te stessa significa perdere chi ami o le persone significative per te?’
‘Quando ero piccola ricordo che dovevo rispondere a delle aspettative ben precise. Io dovevo essere quella con la testa sulle spalle, che si metteva al servizio di tutta la famiglia, che faceva tutto alla perfezione, che consolava mia madre e splendeva come un gioiello da mostrare per mio padre. Se non accadeva mi arrivava in modo sottile il loro disappunto, il loro ‘ti vorremo meno bene se non lo fai’, o almeno io sentivo questo’.
‘Capisco Lucia. In tutti questi ruoli cosa ne è stato di te?’.
‘Sono morta dentro. Nello sforzo di essere chi non sono, ho letteralmente ucciso me stessa, la vera me. Sono diventata una bambola senz’anima!’ dice Lucia. È sempre nel pianto ma questa volta è un pianto che cambia qualità, da rassegnato e disperato diventa assertivo e un po’ arrabbiato.
‘Io voglio ritrovarmi! Io voglio uscire da questa gabbia!’, dice Lucia.
‘Cara Lucia, sei sulla buona strada. Per liberarci dalla nostra gabbia dobbiamo osservare prima profondamente le catene che ci imprigionano. E risentire ciò che si nasconde lì sotto.’
Lucia mi ascolta e ha un respiro più libero, è calma ora. Portare in coscienza ciò che abita nell’inconscio è sempre liberatorio, ci permette di riappropriarci di parti di noi e sentirci più interi.
‘Lucia vedo che hai appoggiato spontaneamente la mano sul petto, nella zona del cuore. Prova ora a portare in quella parte del tuo corpo il tuo respiro e la tua attenzione e sperimenta che effetto ti fa poterti dire : ‘Vai proprio bene così come sei’.
Dopo qualche ripetizione Lucia si commuove.
Questa volta è una commozione che sa di tenerezza, accoglimento e amore verso di se’.