O mando giù o esplodo: e se invece mi arrabbiassi?
Trasformo la rabbia in forza, la forza in passione, la passione in amore, l’amore in delusione, la delusione in rabbia. E ricomincio.
Marcosalvati, Twitter
“Mi sento frustrata. Mi pare di vivere una vita senza passioni, desideri, entusiasmo. Sono stufa ma non vedo vie d’uscita”, mi dice Mara.
“Tu sai cosa ti fa sentire così?”.
“Si certo. Durante la settimana lavoro e mi occupo di cose che mi fanno schifo. Durante il weekend devo andare da mia madre e stare con lei tutto il tempo a parlare del nulla sul divano. Il discorso più interessante è il meteo. Poi devo preparare una buona cena per il mio compagno che torna dalla partita di calcio. Devo sistemare casa e insomma, non mi resta tempo per me e mi sento proprio giù”.
“Devo…”, ripeto io.
“Eh certo che devo. Cosa faccio, lascio mia madre da sola? Sai quanto mi farebbe sentire in colpa con le sue lamentele continue? E il mio compagno poverino, lo lascio senza cena?”, dice Mara irritata.
“Quindi mi pare di capire che c’è una Mara che sente che ‘deve’ fare una serie di cose e non vede via di scampo e un’altra che vorrebbe recuperare tempo per sé, vitalità, slancio per le cose della vita”, dico io.
“Proprio così…ma a dire il vero sono abbastanza rassegnata ormai a questa vita piatta”.
“Mmm capisco. Mara prova adesso a chiudere gli occhi e a portare la tua attenzione su ciò che sta accadendo in questo momento al tuo interno. Cosa senti?”, le chiedo.
“La solita morsa nella pancia, si sta stringendo parecchio.”
“Prova ad appoggiare sulla pancia il palmo della tua mano e immagina di portare in quella parte del corpo il tuo respiro e la tua attenzione, come se tu potessi immergerti lì dentro e guardare più da vicino cosa accade. Cosa noti?”.
“Arriva un’immagine…un ricordo…non so cosa centri”.
“Prova a descrivermelo”.
Mara si commuove prima ancora di dare parola a quella scena.
“Ho circa 6 anni e… vedo tutti i miei fratelli davanti a me che mi insultano. Mi chiamano ‘scimmia’, ‘capra’, mi danno della stupida e ridono di me. Mia madre li guarda e non dice nulla, anzi ogni tanto ridacchia pure lei”.
“Prova ad immaginare di essere quella bambina. Che ti succede?”.
“Sento la vergogna, mi stanno umiliando… mi sento davvero stupida ma vorrei anche picchiarli in quel momento, sento tanta rabbia, proprio qui nella pancia”.
“Come sarebbe per te provare ad esprimerla?”
“Non ce la faccio…non riesco…quando lo facevo con loro era peggio, mi davano addosso ancora di più, mia madre mi puniva in modo duro, i miei fratelli mi prendevano in giro fino allo sfinimento scimmiottando le mie espressioni di rabbia”.
“Cosa ti blocca adesso, qui, ora?”
“Sento che se uscisse farebbe dei danni, esploderebbe in modo incontrollato. Sento che bolle nella pancia come un vulcano…”
“Qual’e il prezzo che paghi nel tenere a bada un vulcano in eruzione ?”
“Ecco… adesso sento che o esplode o… c’è un buco nero che mi risucchia verso il basso e mi spengo, mi deprimo, mi appiattisco.”
Il trattenimento prolungato di un impulso spontaneo da bambini, ritenuto sbagliato, minaccioso, punito o ridicolizzato dall’ambiente circostante provoca una contrazione cronica della parte del corpo coinvolta nell’espressione dell’impulso che diventa anestetizzata e insensibile. Il bambino cercherà di reprimersi contraendo alcune parti del corpo, trattenendo il respiro, diminuendo la propria motilità. Inoltre anche il desiderio di esprimere l’impulso viene ricacciato giù, sotto la superficie del corpo e sotto la soglia in cui avviene la percezione. Non si è più in contatto con il sentimento represso e neppure con il desiderio di tirarlo fuori. Tanti pazienti non sono consapevoli di quanto sono arrabbiati, terrorizzati, addolorati, impauriti, disperati. La repressione del sentire crea un’attitudine alla depressione. Quando si perde il contatto con se’ si smarrisce anche la direzione che si desidera autenticamente dare alla propria vita che diventa direzionata più dall’esterno che dall’interno. L’energia che dovrebbe essere disponibile per il piacere, la gioia e la creatività viene ingabbiata in una vita insoddisfacente.
È il caso di Mara, imprigionata in una vita di doveri a seguito dell’incapacità di dire dei no, di mettere confini alle richieste altrui, di fidarsi del suo desiderio profondo e di legittimarselo.
Il lavoro bioenergetico ha come obiettivo la riattivazione energetica delle parti del corpo deputate al trattenimento emotivo, allo scopo di ridare diritto di esistenza all’impulso represso e al sentimento sottostante. In tal modo l’energia intrappolata dallo sforzo inconscio di tenere a bada penosi sentimenti del passato, si libera. Il respiro si amplia così come la sensazione di piacere e vitalità.
Dopo un lavoro di riattivazione energetica nelle gambe e nella braccia che porta Mara più profondamente in contatto con il suo sentire, inizia ad usare spontaneamente lo spazio protetto della stanza di terapia per ridare vita alla sua protesta rabbiosa verso le umiliazioni e gli insulti dei fratelli. “Ora bastaaaaa!!! Smettetelaaaa! Non potete trattarmi cosiiii! Bastaaaaa”, urla Mara picchiando i pugni sul cubo bioenergetico, uno strumento volto alla scarica della rabbia e allo scioglimento delle tensioni corporee a sostegno del trattenimento di tale emozione.Non farete più di me ciò che voleteeee!!!! Noooooo!!!!’. L’obiettivo è di sciogliere una rabbia antica facilitandone la riemersione. Questo processo diventa funzionale alla capacità di padroneggiare in modo sano l’emozione della rabbia nella propria vita, al recupero di una salutare assertività, della capacità di dire dei no, di mettere confini, di proteggersi da ciò che è troppo e di evitare che questa energia esploda ledendo gli altri oppure imploda deprimendo la vitalità dell’individuo. Dopo questo lavoro il respiro di Mara diventa più libero e ampio, il suo corpo pare più tonico e meno ripiegato su se stesso, la pancia contratta si ammorbidisce, le spalle si abbassano un po’ e una fragorosa risata di liberazione attraversa Mara.
“Qual è la tua esperienza Mara?”, le chiedo.
“Mi sento più leggera, più libera…e poi sento il corpo più vivo, presente. Mi sento più forte in questo momento e mi viene anche da ridere…”
“Come mai?”, le domando.
“Perché ho fatto una scoperta che non so perché, mi fa venire fuori questa risata liberatoria”.
“Che scoperta hai fatto Mara?”, chiedo incuriosita.
“Eh che o esplodo… o implodo o…. semplicemente mi arrabbio!”.
Sorrido anche io.
“Bene! Pare proprio che abbiamo trovato una terza via allora!”.