Entrare nel corpo vuol dire esserci e diventare consapevoli di ciò che accade in questo istante. Il corpo siamo noi.
Roberto Maria Sassone
‘’Essere o non essere’’, recitava l’Amleto di Shakespeare. Un dilemma antico evidentemente. A volte capita di sacrificare un’espressione libera ed autentica di noi, di perderci in mille maschere di compiacenza, remissività, finto buonismo, eccesso di disponibilità. Maschere che non ci permettono di dire dei no quando vorremmo, o di mostrare disappunto per qualcosa che non sentiamo buono per noi, di mettere un sano confine a delle invasioni, di poter sentire ed esprimere i nostri bisogni.
La vita scorre nello sforzo di ‘far finta che’…anche con noi stessi: che non siamo rimasti feriti, che non siamo arrabbiati, che non abbiamo paura, che in fondo quella tal cosa non ci tocca; scorre nell’accondiscendere a richieste esterne o nello smarrimento rispetto ai nostri reali desideri. Rischia di scorrere nel far finta di essere chi non siamo. E nel peggiore dei casi, non sappiamo nemmeno bene chi siamo.
Come mai? Dove ci siamo persi? Quando abbiamo smesso di conoscerci e ‘riconoscerci’ nella nostra essenza più naturale e spontanea?
Forse in un’epoca molto antica.
Dietro questa modalità di stare al mondo possono nascondersi conflitti profondi legati all’infanzia e alla relazione con la nostra mamma o con il nostro papà. Esprimerci per ciò che siamo può diventare minaccioso nella nostra percezione interna se, quando eravamo piccoli, lo è stato per chi si prendeva cura di noi.
È il caso di Claudio.
Arriva in seduta portandomi un tema che definisce sciocco e poco influente ma che gli sta dando parecchio da pensare.
Per il suo compleanno riceve da alcuni amici delle lezioni di sport, uno sport che a lui non è mai piaciuto.
Cosa fare?, si chiede. Gli spiacerebbe ‘sprecare’ questo regalo; gli spiacerebbe anche dire ai suoi amici che questo regalo non è gradito. E se tempo fa si sarebbe forzato ad usufruire di questo dono controvoglia e per educazione e gentilezza, stavolta sente che proprio non gli va. Ma questa ribellione interna non lo lascia sereno. Lo opprime. È chiara l’esistenza di un conflitto ma forse anche la presenza di segnali di un possibile scioglimento del conflitto stesso.
Claudio, dopo un buon pezzo di percorso insieme inizia a potersi riappropriare piano piano della capacità di sentire ciò che vuole e ciò che non vuole ma al contempo non gli è ancora possibile sentirne il pieno diritto. Sentire che gli spetta. Sentire il diritto di possedere se stesso!
‘’Come ti stai sentendo mentre mi parli di questo regalo Claudio?’’, gli chiedo.
‘’Sento la gola serrata e le spalle molto contratte. C’è una vaga emozione ma non so dire che emozione sia’’, mi risponde.
Gli propongo di esplorare più in profondità quale storia si nasconde dietro le tensioni che il corpo segnala.
Chi utilizza il lavoro psico-corporeo nel processo terapeutico sa bene quanto il corpo contenga la nostra storia e quanto, nello scioglimento del blocco e della tensione sia possibile lasciar riemergere la storia che ha dato origine al blocco stesso, le emozioni rimosse e le energie in esso imprigionate, le funzioni e le potenzialità ‘disattivate’. E così, pian piano, possono iniziare a riaffiorare anche permessi negati.
‘’Claudio ti guiderò verso un semplice lavoro corporeo che ti permetta di esplorare più in profondità cosa accade nel tuo mondo interno’’, propongo.
Claudio accetta. Ha paura, mi dice. Sente che qualcosa preme per emergere ma non sa di che si tratta e questo lo spaventa. Lo rassicuro:
‘’Capisco la tua paura. L’ho provata anche io, a volte, sulla soglia di nuove scoperte, ma la nostra armatura caratteriale scioglie ciò che è sostenibile per noi. Non accadrà nulla di pericoloso. E non sei solo. Io sono qui’’.
Claudio annuisce. Ci conosciamo da un po’. Si fida. Si affida. Cosa non semplice per lui.
Gli propongo un lavoro corporeo di radicamento che integra un’attivazione degli occhi con un lavoro su piedi e gambe, aggiungendo man mano l’utilizzo della voce.
Dopo qualche ripetizione di questo lavoro Claudio condivide la sua esperienza:
‘’Ho sentito che non potevo respirare pienamente perché c’eri tu davanti a me.’’
‘’E come mai se io sono seduta davanti a te tu non puoi respirare pienamente?’’, gli domando.
‘’Perché tu sei più di me e quindi io non posso.’’, mi risponde.
Comprendo che probabilmente in quel momento,io sto diventando, come spesso accade in psicoterapia, lo schermo proiettivo su cui Claudio sta lasciando riemergere una vecchia storia relazionale. Chi era la persona che sentiva essere ‘più di lui’ quando era piccolo e di fronte alla quale non poteva respirare pienamente? (Penso che ormai sia nota anche ai non addetti ai lavori la stretta relazione tra apertura del respiro, libertà interiore ed espressione spontanea ed autentica di Se’).
Mi pongo queste domande ma non è mia abitudine giungere a conclusioni affrettate o interpretazioni, al massimo formulo ipotesi e lascio che sia il processo stesso a validarle o meno.
‘’Claudio, se tu ora provi a fare la fantasia di respirare a pieno di fronte a me, cosa senti che accadrebbe?’’, chiedo.
‘’Che ti darei fastidio’’, mi dice un po’ tremante.
‘’E se tu mi dessi fastidio poi cosa succederebbe?’’, continuo ad esplorare.
‘’Che tu ti arrabbieresti con me’’, mi dice Claudio con voce ancora più tremante.
‘’E poi?…’’, chiedo.
A quel punto Claudio esplode in un profondo pianto a singhiozzi che lo rende anche un po’ incredulo e tra le lacrime, alzando il tono della voce dice: ‘’Ti metteresti a piangere e io…io mi sentirei in colpa, tremendamente in colpa e….io non saprei cosa fare. È una responsabilità troppo grande, io non ce la faccioooo!, quasi urla adesso.
Il quadro è completo. Guardo Claudio e compartecipo al suo dolore e al suo smarrimento. A quello del bambino che è stato.
‘’Con chi ti sentivi così?’’.
‘’Con mia madre. È arrivata un’immagine. Non so se è reale. Lei si arrabbia e piange se io esprimo ciò che voglio, se protesto, se esisto!!! Sono piccolo, in un angolo…E se lei piange io non reggo, è troppo, troppo per me’’, continua tra i singhiozzi.
‘’È vero, ti capisco, è una responsabilità troppo grande per un bambino occuparsi del pianto di una mamma che non riesce a stare con un figlio che è altro da Se’ caro Claudio’’, gli dico.
Ci troviamo di fronte ad una storia di rimozione del proprio bisogno di autonomia e libera espressione di se’, ad un bambino a cui è stata imposta un’identità dall’esterno, una sorta di formina prestampata a cui aderire, che ha avuto come conseguenza l’alienazione dalla propria natura essenziale: quella che noi terapeuti chiamiamo il Vero Se’. La madre non riesce ad accogliere con gioia e positività la separazione del bambino da se stessa e la sua nascente autonomia su vari piani. Per cui questa madre veicola in modo più o meno esplicito o implicito un messaggio di repressione o inibizione verso i bisogni di scoperta del bambino, di avventura, di separazione, sia in termini fisici ma anche emotivi. Se sei Altro da me , se io e te non siamo nella nostra idilliaca fusione, io andrò in crisi e crollerò, come nella storia di Claudio, oppure non ti vorrò più bene, o mi allontanerò da te. Questa risposta di disconferma che il bambino riceve tutte le volte in cui prova a sperimentarsi nella possibilità di essere se stesso, lo conduce, pur di non perdere il suo amore, la sua approvazione, la sua vicinanza, a ‘conformarsi’ e adattarsi alla forma che la madre vuole che lui assuma, a farsi carico della sua emotività e a sintonizzarsi con il suo modo di leggere la realtà, dimenticandosi letteralmente chi è davvero.
Un bambino che vive tutto ciò diventerà un adulto che vive qualsiasi espressione libera di se’ come pericolosa o comunque sbagliata. Il suo timore più grande è: ‘’Se sono me stesso sarò abbandonato o punito’’. Avrà desiderio ma anche paura di autonomia e tenderà alla passività, alla confusione rispetto ai suoi reali bisogni e alla difficoltà di affermarli. Ci sarà una fatica nel sentire cosa gli piace e cosa no, cosa desidera e cosa invece non vuole. La con-fusione tra se’ e l’altro lo porterà a cercare negli altri un surrogato di Se’ e ad avere paura di ferirli ed essere lasciato solo tutte le volte che osa muoversi in modo autonomo.
‘’Claudio, sembrerebbe che il tuo unico modo per non perdere tua madre sia stato perderti, non ‘esistere’ e non esprimerti per non crearle un dispiacere, forse addirittura per non farla crollare. Hai dovuto far fuori bisogni, desideri e il tuo sentire, impacchettati insieme al tuo dolore, alla tua rabbia e al senso di isolamento. Fino a dimenticarti chi sei e cosa ti fa star bene, cosa vuoi o cosa proprio non vuoi fare… come quelle lezioni di sport da cui siamo partiti!’’
‘’Provo un misto di disorientamento e sollievo di fronte a queste cose che sono emerse. Non me le aspettavo. Mi pareva di portare un tema stupido oggi con questa storia del regalo di compleanno‘’.
‘’Be’ decisamente il più bel regalo che tu potessi ricevere per il tuo compleanno. Ti ha portato a poter sentire tutto questo e a creare un ponte verso il ritrovare te!’’, gli dico sorridendogli con un pizzico di ironia e immaginando la sua reazione.
Mi abbraccia ancora provato da quel tumulto emotivo così profondo dicendomi: ‘’Adesso non farmi di nuovo incazzare’’.
‘’Benissimo- gli dico – direi che ora la terapia è iniziata per davvero’’.
Ridiamo insieme.
Claudio inizia a potermi dire anche questo. A poter essere Se’.