Avevo conosciuto il centro di psicoterapia grazie al mio compagno. Avevo visto il suo percorso di evoluzione personale, la graduale e crescente consapevolezza di sé e la felicità nuova che regalava il lavoro su sé stessi.
Ciò che mi ha mossa, o per meglio dire smossa a provarci anch’io, è stato proprio il mio crescente desiderio di formare una famiglia con lui. Come potevo permettere a me stessa di portarmi dietro ancora e da troppi anni, delle “zavorre” d’infelicità che forse avrebbero potuto minare irrimediabilmente i miei progetti con lui? Perché dovevo mandar giù e sentirmi così profondamente infelice, talvolta?
Ho vissuto mesi intensissimi, nei quali mi sono messa a nudo e in gioco, totalmente … perché capivo a ogni seduta sempre di più, che quel lavoro pur così difficile, mi aiutava a sbloccare e a togliere delle maschere che m’impedivano di essere veramente me stessa.
Ed ecco, sentirmi finalmente pronta ad affrontare il viaggio verso la ricerca di una maternità. Gli esami di routine, l’inizio dei tentativi… e 5 mesi dopo ero incinta.
Che sensazione di euforia, di felicità piena mi dava questa gravidanza! Così desiderata, così consapevole, all’alba dei miei 38 anni.
I primi 5 mesi di attesa sono stati piuttosto difficili, minati da problemi allo stomaco e al fegato… ma mi sentivo comunque serena e coraggiosa. Non c’era nulla che scalfisse il sorriso dal mio viso, perché sapevo che quelle “fatiche” mi avrebbero portata al mio grande, immenso traguardo: avere mio figlio fra le braccia.
E nel frattempo, la decisione di effettuare l’amniocentesi. Un esame delicato, ma che io e il mio compagno ritenevamo importante, vista la mia età matura…
Il giorno in cui siamo stati convocati in ospedale, troppo presto dopo l’esame, ci tenevamo stretti per la mano, in silenzio. Già sapevamo che qualcosa non andava.
La sentenza è stata tremenda: la nostra Anna soffriva di una grave trisomia e di una gravissima malformazione cardiaca. “Ci dispiace tanto signora… se penso a cosa ho provato in quel momento, ancora rabbrividisco al ricordo.
Ho provato una tale fitta di dolore al cuore e un tale pugno dritto allo stomaco, da farmi quasi svenire dal dolore. Ho pianto disperata, per ore. E il mio compagno con me. Da quel momento, è passata oltre una settimana prima del ricovero per aborto terapeutico. Un tempo infinito nel quale cercare lentissimamente e tragicamente di allontanarmi da lei.
La mia terapeuta è stata una delle prime persone che ho chiamato e che istintivamente ho voluto cercare, insieme al mio medico e alla mia ginecologa. Non c’era solo il mio corpo da curare, c’era anche la mia mente, in quel momento talmente sopraffatta dal dolore da pensare “io da sola non ce la faccio”…
Ho abortito il giorno dopo essere stata ricoverata, dopo ore ed ore dolorosissime e infinite, a causa dell’induzione del parto tramite prostaglandine. Non ho voluto vederla, la mia piccola bambolina di 20 centimetri, quando è uscita da me. Io sapevo perfettamente com’era e come me la sognavo… ma il mio compagno sì, l’ha voluta conoscere e prendere fra le braccia. È in quel momento che un uomo diventa padre. E in quel momento lui lo è stato, profondamente. Ed Anna ci ha uniti per la vita.
Ho chiesto dunque da subito aiuto e di poter seguire una terapia per riuscire al meglio a elaborare un lutto e un dolore che sentivo totalmente più grandi di me. Sentivo che da sola non ce l’avrei mai fatta e questo atteggiamento mi ha salvata. Salvata dal chiudermi in un lutto definitivo, “cacciandolo giù” e facendo finta di lasciarmi tutto alle mie spalle … rischiando di rovinare irrimediabilmente la mia vita.
Ogni seduta mi sembrava sempre più difficile, ogni volta ne uscivo sempre più stravolta, con la vista annebbiata, una sensazione di barcollamento e di dolore diffuso, anche fisico, nelle ossa. Con l’unico desiderio di buttarmi con le braccia al collo del mio compagno, piangere a dirotto e tentare di far scorrere via tutto quel dolore sotto una doccia infinita.
La mia terapeuta mi ha fatto incontrare, parlare, abbracciare la mia Anna… è stato tremendo, dolorosissimo… le ho urlato disperata che l’amavo, che il nostro era stato un gesto d’amore. Che anche se fosse riuscita a nascere, quel cuoricino le avrebbe dato troppe poche speranze di vita… le ho anche chiesto perdono. Perché sentivo di non essere stata in grado di darle la vita, come avrebbe meritato.
Poi piano piano, grazie alla mia terapeuta che mi accompagnava e mi aiutava ad attraversare quel dolore immane, ho cominciato lentamente a tornare lucida e a provare sollievo. Mi sono fidata di lei, perché mi sentivo libera di dare voce al mio dolore in un ambiente protetto, senza dovergli mettere dei filtri. Con lei mi sentivo libera di esprimerlo fino in fondo, quel maledetto dolore. A non aver paura di attraversarlo, perché in fondo a quel tunnel c’era la ripresa del coraggio, della vita, della voglia di andare avanti…
Ogni giorno di più maturava in me la certezza che avere la mia ANNA in grembo, fosse stato un privilegio. E non solo un dolore fine a sé stesso.
Ho cominciato a sperimentare giorno dopo giorno una nuova consapevolezza di me. Grazie a lei mi sono conosciuta e ho sperimentato delle profondità del mio io che non mai avrei creduto di poter sondare… grazie a lei apprezzo la vita con ancora maggiore slancio e serenità. Lei è la mia forza, lei è l’energia nel cosmo che è lì tutta per me. E per il suo papà.
Ora non piango più quando, in coda al supermercato, trovo una mamma col suo piccolino… o quando prendo in braccio i piccoli figli di amici. Certo, è ancora difficile, molto difficile e talvolta ho voglia di piangere e lo faccio fra le braccia amorevoli del mio compagno, che sa, che accetta, che conosce il mio diritto al mio dolore.
Grazie alla terapia ho anche capito che la piccola tomba di Anna al cimitero dei bimbi mai nati, poteva essere un passaggio importante nell’elaborazione della sua perdita e non qualcosa di terribile che proprio non potevo e non volevo accettare, inizialmente… ora è un appuntamento che nasce istintivo dentro di me, senza una cadenza definita. Quando ne sento il bisogno vado da lei, accarezzo la pianta che abbiamo messo a dimora dove lei riposa, la girandola rosa e mi sento invadere da una malinconia dolce, che non è più dolore informe. Averla affidata alla Madre Terra mi consola, anche se so che quella Madre, con me, ha mostrato il suo lato di Matrigna.
E sogno un giorno di poterla andare a trovare mano nella mano con un fratellino, o una sorellina…
Ed è dedicandolo a lei, intensamente, che io e il mio compagno ci siamo sposati nell’anno in cui lei è nata.
La vita va avanti, con ancora più grinta e ancora più gioia, perché ho lei nella mente e nel cuore, per sempre.