Questa non vuole essere una celebrazione a te o a me. Solo una riflessione su quello che c’è stato, come mettere in pausa e guardare a quello che è accaduto, contattando e respirando. Ed è stato bellissimo.
È iniziato tutto più di tre anni fa, ma sono arrivata effettivamente in terapia individuale parecchi mesi dopo. Stavo così male, ero così completamente persa, smarrita, sconosciuta. È stato molto difficile fidarsi di te, lasciarmi guidare ed accompagnare, era tutto così sconosciuto e buio, avevo paura, non respiravo, giacevo, stavo lì ed aspettavo, perdendo un sacco di “cose”.
Volevo mi dicessi cosa fare, che decisioni prendere, che scegliessi tu al posto mio. Ovviamente hai declinato quest’invito e hai iniziato a farmi lavorare, con il corpo, con la mente, con il cuore.
Nonostante piangessi per l’intera seduta e tornassi a casa distrutta e disperata (almeno inizialmente), sapevo che era quello il mio luogo. Ricordo la sensazione di quel periodo, di quei mesi.
Descrivevo come mi sentivo con l’immagine di me su un pezzo di legno in mezzo al mare, un mare nero, scuro, buio, ed io lì, sdraiata e raggomitolata, trasportata senza meta, senza che mai ci fosse giorno. Non sentivo nulla, solo vuoto, diventato dolore insopportabile.
È stato così per molto tempo, un qualcosa di talmente consolidato che non credo fosse possibile nemmeno cambiare, ma tu mi hai accompagnata a capire per quale ragione fossi finita su quel pezzo di legno, da sola, in mezzo al mare buio.
E quando l’ho capito, beh, sono stata ancora peggio. ‘Il mondo è ingiusto’, dicevo. E mi sono arrabbiata, decisamente anche con te. Ma poi, forse un po’ all’improvviso, ho iniziato a vedere me, me bambina, la vera me. Niente a che vedere con visioni, allucinazioni deliranti o fantascienza, ma semplicemente mi incontravo, mi parlavo, ho iniziato a volermi bene, a tentare di prendermi cura di me.
E così è arrivato un momento, probabilmente a metà del mio percorso terapeutico, un momento di rottura per la mia vita. Un momento molto duro ed estremamente doloroso, in cui pensavo che un dolore così mi potesse rompere e segnare per sempre. Lasciare l’amore, il grande amore. Ero terrorizzata di poter ricontattare il vuoto e il nulla degli anni precedenti. Ma non è stato così. Ora, ripensando a quel periodo mi vedo, quanto coraggio, quanta forza e, anche se lontana, ti ho sentita di sostegno.
Una volta in seduta mi hai chiesto di fidarmi di te; in realtà molte volte, ma forse me ne ricordo solamente una, quella in cui sapevo che potevo. Potevo darti fiducia, perché te la meriti, te la sei meritata, e perché ho iniziato a fidarmi un po’ più di me.
Tutto questo è accaduto per un’ora, ogni settimana, ma sentivo che ciò che vivevamo sedimentava e si alimentava dentro di me.
Mi hai accompagnata dentro di me, in luoghi che non conoscevo, in luoghi oscuri, dolorosi, inimmaginabili. Eri sempre lì, e per una come me che non ha avuto o ha avuto per metà, qualcuno che accompagni e guidi, questo è molto.
E oggi dopo quasi tre anni, me ne sto ancora occupando. Ma ora c’è il sole, lo sento, lo vedo, e mi piace molto. A volte il meteo è variabile, a volte piove, ci sono lampi e tuoni, ma la cosa fondamentale è che conosco il sole.
Il mio percorso di crescita non è finito, forse durerà tutta la vita, non lo so.
Grazie a te, ho imparato ad avere una madre, simbolica, ma sto imparando ad averne anche una reale, ad amarla e apprezzarla in modo davvero autentico.
Ora che sono (ri)nata e sono viva, con tutte le umane fatiche e fragilità, posso scoprire il mondo, andarci in giro e visitarlo, imparando ad essere un po’ meno impacciata e facendomi accompagnare da un papà simbolico. Grazie, grazie davvero, col cuore.