La compulsione a dare.
…E si capisce: dare è un piacere più indimenticabile che ricevere;
quello a cui abbiamo dato ci diventa necessario, cioè lo amiamo.
Il dare è una passione, quasi un vizio. La persona a cui diamo ci diventa necessariaCesare Pavese
“Tu hai bisogno di me, io ti salverò, ti accudirò e so cosa ti serve per star bene”. Un mantra diffuso in molte relazioni, da quella genitore figlio a quella tra partner, tra amici, fratelli e non solo. Ci convinciamo che senza di noi l’altro non ce la farà e ci mettiamo in una posizione relazionale di iperaccudimento e iperpresenza. Le nostre braccia sono distese in avanti, cristallizzate simbolicamente verso l’altro in una sorta di dare compulsivo in cui apparecchiamo costantemente per l’altro una tavola imbandita con cibi non richiesti e pertanto spesso indigesti. Se provate a sbilanciare il corpo in avanti, con le braccia protese e immaginate di star così nella vita, sempre, cosa notate? Il corpo non è al centro, non siete in contatto con voi stessi ma siete molto verso l’altro e così vicini a questa persona a tal punto da non vederla davvero, tutti presi dal vostro personalissimo bisogno di dare. Poi cos’altro osservate? Che se l’altro si sposta e per caso dice: “No, grazie” alla vostra offerta spasmodica di cure, denaro, cibo, attenzioni, regali, telefonate, pronto soccorsi emotivi non richiesti e quant’altro, voi vi sentite cadere, anzi vi sentite letteralmente morire.
E quello che succede a Velia. “Ho dei fortissimi attacchi di panico, non capisco cosa mi stia accadendo e mi sento molto spaventata, anzi proprio terrorizzata. A volte mi sembra di poter morire da un momento all’altro”.
Non so per quale strano sesto senso le domando semplicemente: “Che succede nella relazione con tua figlia?”. Velia scoppia in un pianto a dirotto che dura diversi minuti. “Succede che sta crescendo” , mi dice quando riesce a riprendere parola provata da un evidente e intenso dolore.
“E cosa succede a te se Cristina cresce e non ha più così tanto bisogno di te?”.
“Che io mi sento inutile, insignificante …e tanto sola”.
Spesso senza rendercene conto ci sbilanciamo in un ruolo eccessivamente accudente, di salvatore o salvatrice, soccorritore, crocerossina e simili per evadere da noi. Se io mi illudo che tu abbia così tanto bisogno di me e mi rendo indispensabile per te posso fuggire dal guardare il mio vuoto. E’ a noi che serve l’altro e non il contrario! Finché non portiamo allo scoperto quest’illusione con tutto ciò che si nasconde dietro questa convinzione corriamo il rischio di stare in relazioni poco funzionali sia per noi che per l’altro. Nel caso di rapporti madri/ padri e figli il rischio è di soffocare la crescita del bambino che si appresta a diventare adolescente/adulto e tenerlo piccolo per soddisfare il proprio bisogno di sentirsi utili e di colmare il proprio vuoto interiore. Eccessi di cure, presenza e gratificazioni infinite non permettono di far assaporare la fatica e la libertà di diventare grandi. Il messaggio inconscio è: “Mi serve che tu rimanga piccolo! Altrimenti io mi sentirò’ abbandonato e solo e quindi mi sentirò morire”. Al figlio arriva svalutazione e sfiducia nelle sue risorse e solitamente o si convince davvero che da solo non ce la farà e quindi la sua crescita emotiva si arresta in uno stato di dipendenza infinita o si ribella a questo soffocamento con comportamenti rabbiosi di diversa natura che vanno contro il genitore asfissiante. Nelle relazioni affettive di qualsiasi natura questo atteggiamento emotivo porta a rapporti che restano incastrati più su bisogni irrisolti che su reali desideri o sentimenti. Siamo come alberi che non riescono a lasciar andare foglie o rami secchi. Questo non lascia spazio al nuovo.
E’ il caso di Veronica.
“Ho lasciato mio marito per un’ altro uomo con cui sto molto bene ma non riesco a staccare il cordone ombelicale dal mio ex. Lo chiamo, vado a casa sua, gli pulisco casa nonostante non abiti più lì e mi preoccupo che le sue camice siano ben stirate, che abbia mangiato a sufficienza e che i cibi che mangia siano assolutamente sani. Se non lo sento vado in ansia perché lo immagino perso senza di me. Mi sento schiava di questa mia stessa irrefrenabile necessità”.
“E lui cosa dice di questo?”, le domando.
“Mà, mi dice che lui in realtà sta bene da solo, che sta ritrovando vecchi amici, interessi e che si sta riscoprendo…e che se non vado lì si gode alla grande il suo disordine”.
“Ah…quindi pare che il bisogno non sia il suo…”
“Già, forse è proprio così. Lui non ha bisogno così tanto di me quanto io ne ho di continuare ad esserci e ad accudirlo a tutti i costi”.
Che succede a Velia e a Veronica e a tante altre donne o uomini che si mettono inconsapevolmente in questo ruolo quando l’altro non è più disponibile a stare a questo gioco?
“Sento il vuoto, arriva il dolore e la paura. Mi sento sola, tremendamente sola. Da piccola venivo lasciata a casa tutto il giorno a gestirmi tutto da me. Nessuno era disponibile per i miei bisogni nemmeno quando rientravano dal lavoro. Troppo occupati.” Oppure…: “Mia madre è andata via di casa che ero piccolissima…nessuno mi ha spiegato nulla e io mi sentivo così sola e confusa”. O ancora: “ I miei erano piuttosto depressi entrambi e io sentivo che non c’era spazio per me, ero quasi io a dovermi occupare di loro e dei miei fratelli e a fargli da madre” e così via.
Dietro questa compulsione ad esserci e a dare ci sono dolorose storie di deprivazione affettiva.
Il rendersi indispensabili per l’altro diventa una compensazione per non sentire il proprio vuoto e per scongiurare l’ennesimo abbandono.
“Visto che l’altro ha così bisogno di me non mi potrà lasciare”, recita il nostro copione inconscio.
“Abbiamo una dolorosa verità da guardare e attraversare insieme” , mi è capitato di dire a donne come Veronica e Velia e tante altre con storie e dinamiche analoghe. “Non si tratta della perdita di tua figlia nel caso della prima o del tuo ex marito nel caso della seconda, perché questo legame probabilmente durerà per sempre e tu non lo/a perderai ma semplicemente la relazione cambierà la sua forma…si tratta di fare il lutto legato al non avere avuto la mamma e il papà amorevoli e presenti che avresti voluto e incontrare il tuo desolato deserto interiore e farci i conti. Si tratta di rintracciare quella bambina sola e abbandonata dentro di te e iniziare a poterle dire: ‘Ti vedo, hai il diritto di sentire quello che senti e io mi prenderò cura di te”.
E così la guarigione avrà’ inizio…