Il cuore umano, a qualsiasi età, si apre ai cuori che a loro volta si aprono.
Maria Edgeworth
Prima di ricevere un paziente che arriva in studio da me per chiedermi aiuto su qualsivoglia problematica, mi occupo di me. Lavoro sul corpo e sul respiro attraverso la pratica Bioenergetica, cerco di approfondire il più possibile il mio radicamento e di sciogliere eventuali tensioni interne che potrebbero interferire nella mia sintonizzazione con lui o lei. Infine mi occupo di lavorare sull’apertura del torace in modo da poter accogliere chi sta per entrare con un cuore il più possibile aperto. Sento questo rituale preparatorio particolarmente importante, perché in ogni seduta, il mio corpo e le mie emozioni diventano una cassa di risonanza di ciò che succede a chi sta seduto di fronte a me. Più mi sento, più riesco a sentire l’altro. Più lo sento e rimando ciò che dall’altro mi arriva, più lui si sente profondamente colto e riconosciuto nei suoi vissuti… e un primo livello di cura ha già inizio. Molte problematiche psichiche sono frutto di mancate sintonizzazioni, di fratture nella connessione relazionale e dell’interiorizzazione di tali modelli relazionali patologici. Gli studi dell’Infant Research e in particolare dello psicoanalista Daniel Stern ci ricordano infatti che sulla base delle sue primissime interazioni il bambino costruirà i modelli di esperienza soggettiva interna e di relazione che costituiscono le rappresentazioni mentali di se’ e dell’altro.
In tal senso so quanto la relazione che intercorre momento per momento tra me e il mio paziente, al di là di qualsiasi tecnica utilizzata, sia fondamentale nel processo di guarigione e me ne prendo cura.
Sperimentare una relazione più sintonica e funzionale, rispetto a quelle esperite nella propria infanzia, ha un potente effetto riparatore. Questa nuova relazione, per essere efficace e realmente terapeutica, deve essere in primis autentica perché come ci ricorda Erich Fromm “la relazione psicoterapeutica non deve essere un’educata conversazione o una chiacchiera da salotto ma deve avere il carattere dell’immediatezza: lo psicoterapeuta non deve mai mentire, né cercare di compiacere o impressionare. Deve restare se stesso, il che significa che deve avere lavorato con se stesso”. Quando parlo di autenticità mi riferisco ad una qualità essenziale che è necessario che il terapeuta coltivi per far si che l’incontro con il paziente avvenga in una dimensione di verità e per fungere da modello per il paziente stesso: l’arte della congruenza.
Sono congruente se quello che sento, quello che penso e ciò che dico e faccio sono in armonia tra loro.
Quindi ciò significa che non fingo di ascoltare, ma che per quanto possibile mi sintonizzo davvero a livello emotivo e corporeo con chi ho di fronte. E’ come se io diventassi una cassa di risonanza che mi permette di vibrare in relazione a ciò che accade dentro al mio paziente. Ciò che io sento nel corpo e a livello emotivo di fronte a quella persona, sono una preziosa bussola per empatizzare con il suo stato interno. Quindi non solo vedo ciò che fai, ma sento ciò che tu senti e se necessario e utile al processo ti rimando il tipo di pulsione, ritmo, attivazione corporea ed energetica, vissuto emotivo che percepisci internamente o ti guido nell’osservarlo più da vicino. Le più recenti scoperte neuroscientifiche, attraverso la teoria dei “neuroni specchio” hanno tra l’altro ormai legittimato l’esistenza di meccanismi fisiologici sottostanti l’empatia. I neuroni-specchio sono situati nella corteccia premotoria, che è l’area deputata al movimento e sono correlati al sistema limbico, area del cervello correlata alle emozioni. Secondo tali teorie esistono dei neuroni che non solo si attivano quando vediamo qualcuno compiere un determinato comportamento ma anche quando osserviamo una persona provare emozioni. Quindi permettono di portare l’esperienza dell’altro al nostro interno come se ciò che lui vive stesse accadendo a noi. Pertanto, ciò che sento nel mio corpo e ciò che provo di fronte al mio paziente rappresentano utili indicatori ai fini della diagnosi ma anche della cura. Lui sente che io sento. Ogni volta che questo accade vedo gli occhi della persona che ho di fronte riempirsi di lacrime e alla mia domanda: “Cosa ti commuove in questo momento?”, la riposta molto spesso è la stessa: “Quando ero piccolo nessuno mi ha mai guardato così, nessuno si accorgeva o si preoccupava di ciò che io provavo. Il fatto che tu cogli ciò che sto sentendo, che te ne prendi carico e cura, che ti emozioni insieme a me… ecco, si, i tuoi occhi lucidi in questo momento… da una parte mi turbano, perché è un’esperienza totalmente nuova, si ecco, forse mi spaventa anche un po’, ma dall’altra sento che qualcosa si scioglie profondamente dentro di me”. La presenza apre il vuoto dell’assenza. La possibilità di esplorarlo e al contempo di ricevere nella stanza di terapia risposte diverse, più empatiche, funzionali e sintoniche rispetto a quelle ricevute in passato fa si che accadano cose nuove. L’emozione spiacevole che riaffiora all’inizio fa molto male ma il poterla rivivere e il poter accedere ad un diverso sguardo che offre presenza, attenzione e partecipazione agisce da balsamo cicatrizzante che man mano lenisce e cura la ferita.