Se attraverso il corpo entriamo in contatto con la realtà del mondo esterno e interno, nella psicosi la mancanza di contatto con il corpo e con la realtà hanno un ruolo centrale.
Ogni parte del corpo, infatti, contribuisce al senso di sé, se siamo in contatto con essa.
Dal punto di vista del processo psicocorporeo, mentre nella nevrosi si presenta una distorsione o un difetto nel rapporto con la realtà, nella psicosi possiamo dire che il contatto con la realtà viene proprio perso.
Avviene un ritiro energetico dal mondo come conseguenza di un fenomeno regressivo importante. Ciò si manifesta attraverso la perdita di contatto con tutto il corpo o parte di esso, una perdita di contatto anche con la realtà, come accade nei casi di depersonalizzazione o derealizzazione, fenomeni tipici della piscosi.
Infatti, due aspetti imprescindibili del contatto con la realtà di una persona sono sia la sensazione e la percezione completa del proprio corpo, sia la percezione degli oggetti e dei processi che si svolgono nel mondo esterno.
La psicosi è essenzialmente il risultato di un grave conflitto tra l’Io e il mondo esterno, la realtà viene disconosciuta e rimodellata perché non può essere accettata nè integrata.
Quando si perde la percezione del proprio corpo o di parti di esso, accompagnata da sensazioni di estraneamento e di irrealtà che comportano esperienze di “uscita dal corpo” o di illusione percettiva di elementi non esistenti, o ancora il senso di vedersi dall’esterno o da una certa distanza, oppure la sensazione che una parte del proprio corpo non appartenga a sé, come fosse una struttura estranea o come se fosse sotto il controllo di un’altra volontà, siamo di fronte a importanti fenomeni psicotici dissociativi. Nelle allucinazioni autoscopiche, si verifica la sensazione di sdoppiamento del proprio corpo, come se ci fossero due corpi che esistono contemporaneamente in due luoghi diversi (fenomeno della bilocalizzazione).
La divisione della personalità si manifesta, dal punto di vista corporeo, con sintomi sensomotori come l’anestesia che produce l’incapacità di sentire, una sorta di impenetrabilità che non permette l’accesso a parti di sé e pertanto non consente l’integrazione del sentire e dell’esperienza.
Quando questo accade è evidente che si è rotto qualcosa nell’unità di percezione globale dell’organismo e del sé. Il flusso energetico e la respirazione, così come il radicamento (grounding), elementi alla base del funzionamento del biosistema, non possono che essere interrotti e frammentati.
La divisione evidente è tra la personalità e la realtà come conseguenza estrema di un tentativo di difesa da un ambiente fortemente disturbato e travagliato. C’è stato un danneggiamento da mancato accudimento, da grave carenza affettiva ed è come se i confini, anche quelli corporei, fossero incompleti.
Lo psicotico è come se fosse ricoperto da una pelle piena di buchi, per cui è ipersensibile e ipersuscettibile a qualsiasi stimolo. Difensivamente, il vuoto di questi buchi può essere tappato e riempito da una coperta di diniego della realtà.
Per poter esistere, quindi, lo psicotico si deve difendere e si ritira perciò nel proprio mondo ipersensoriale, in preda ad angosce disintegrative e persecutorie.
L’energia si ritira nel mondo interno per difendersi dal timore e dalla sensazione di andare in frantumi, perciò ci si distacca anche dalla realtà con la quale non può esserci uno scambio fluido e tollerabile tra il dentro e il fuori. L’invasione del fuori deve essere arginata dalla dissociazione o dal rimodellamento della realtà, altrimenti non può essere sostenibile, lo psicotico crolla proprio perché non è stato sostenuto (mancanza di holding) né si può sentire contenuto dalla propria struttura (mancanza di handling). Non si è sviluppato un senso di Sè adeguato ed è rimasto invece un carico di angoscia dilagante. Da qui, il bisogno regressivo di incorporazione fetale dello psicotico che è come se volesse rientrare nel grembo materno.
Il corpo dello psicotico trasmette fragilità e un senso di invisibilità, come fosse carta velina.
Il minimo comune denominatore è che l’esperienza psicosomatica della parte dissociata non appartiene al soggetto e non viene integrata con il senso di sé.
Se ci addentriamo più nello specifico nel fenomeno della depersonalizzazione, assistiamo a un distacco della coscienza dal Sè o dal corpo e si vivono sensazioni di estraneità, di non familiarità, come se si fosse “fuori dal corpo”.
La derealizzazione comporta la non familiarità con l’ambiente circostante e distorsioni delle coordinate spazio-temporali in cui si è immersi.
Nella dissociazione psicotica avviene quindi una perdita di se stessi. La mancanza di struttura dello psicotico lo porta all’incapacità di contenere una eccessiva carica energetica, è come un fiume pieno che rompe gli argini, a causa di un’inondazione vera e propria. Essendoci un carico di angoscia eccessivo che non trova modo di essere arginato, il corpo dello psicotico non può essere integrato ed è governato da disfunzionamenti ormonali e metabolici che, talvolta, vengono percepiti all’olfatto. L’angoscia non è visibile, ma è percepibile. Inoltre, non essendo lo psicotico in rapporto con il proprio corpo, non riesce a prendersene cura, per cui vive nella trascuratezza.
Lo spazio peripersonale dello psicotico nel mondo esterno si restringe fino a collassare. Si determina, da un troppo vuoto, un troppo pieno come fosse una barriera collassata sul corpo dello psicotico che gli impedisce di respirare, di vivere e di entrare in contatto con la realtà. La debolezza della barriera normale si traduce in una debolezza dell’Io che ha corrispondenza in una debolezza del sistema muscolare che, subito dopo l’epidermide, segna il confine corporeo. Questo non è dovuto alla mancanza di sviluppo muscolare come inteso normalmente, piuttosto i muscoli sono tesi e spastici perché soggetti a una forte contrazione che sta a difesa della paura e del terrore sperimentato. I muscoli sono contratti perché tengono insieme i pezzi del sé che vanno verso la disintegrazione e la frammentazione. Il sistema muscolare è come segmentato e la struttura corporea non trasmette un senso di unità e integrazione.
La testa sembra staccata dal corpo dal punto di vista bioenergetico, la scissione si nota anche a livello del diaframma, come se non si potesse accedere alle viscere, sede delle emozioni più profonde. La parte bassa del corpo non è funzionalmente integrata a quella alta.
È come se lo psicotico fosse cieco e anestetizzato nei confronti degli stimoli provenienti dal mondo interno ed esterno. Lo sguardo è vacuo, assente, vitreo, non c’è contatto oculare perché vaga in lontananza, non c’è espressività. Mentre vedere è una funzione passiva, guardare implica l’atto di dirigere volontariamente lo sguardo su un oggetto, per osservarlo ed entrare in relazione con esso. Lo psicotico, quindi, vede ma non guarda.
Di contro, il mondo interno dello psicotico si dilata e si allarga di una sensopercezione iperintensa. La psicosi, infatti, è una condizione di ipersensorialità senza limiti né confini.
Lo psicotico è inghiottito da questa sensopercezione iperintensa, la quale prende il sopravvento sul mondo reale sino a sostituirlo. Ovvero, il mondo ipersensibile dello psicotico prende il posto della realtà.
Quando il Sè dissociato si ripresenta, possiamo vedere come prendano il sopravvento modalità espressive e manifestazioni somatiche che, attraverso il corpo, rappresentano la dissociazione e la disorganizzazione psicotica. Il paziente è come se fosse in un’altra dimensione spazio-temporale, può avere percezioni allucinatorie che cambiano la regolazione della fisiologia e attivano il sistema nervoso simpatico in una allerta e attivazione potente.
In terapia, il paziente psicotico va contenuto e condotto verso una reintegrazione ma, poiché è nel buco vuoto della sua fragilità, laddove i confini corporei non si sono chiusi, non può essere toccato o avvicinato troppo. Quindi, costruire una buona alleanza terapeutica è fondamentale a maggior ragione, perché i pazienti si possano fidare che non vi sia una minaccia interna alla relazione e al setting terapeutico e possano quindi essere condotti al contatto con la realtà, in seguito a una buona stabilizzazione emotiva.
Anche la parte dissociata che spesso si presenta attraverso forme deliranti, immagini o percezioni che non si attengono alla realtà del qui e ora, va presa in considerazione e anzi va accolta come la parte che poi dovrà essere via via integrata nel sistema del paziente. Non potrebbe essere altrimenti poiché il paziente, quando si identifica con la parte dissociata, la manifesta nel corpo. Il corpo è in quella dimensione, ovvero è spaventato, terrorizzato quindi fa movimenti stereotipati, lo sguardo diventa vitreo, controllante e diffidente. L’allerta e l’irrealtà devono trovare asilo, accoglienza e rifugio sicuro nella stanza di psicoterapia poiché sono le parti che si sono dovute dissociare internamente.
Lo stato affettivo del terrore deve poter essere accolto dal terapeuta che può attraverso la voce, il respiro, le parole e la relazione offrire la via per prendere contatto con la reale mancanza di minaccia e con il proprio corpo.
Il paziente ha bisogno di sentirsi al sicuro affidandosi al calore e all’affetto sincero, alla protezione amorevole e affidabile del terapeuta, per poter accedere alla stabilizzazione, alla sicurezza, al contatto con sé e con la realtà.
In collaborazione con la Rivista FORT-DA